domenica 18 novembre 2012

lampadina

Esiste una finestra abbastanza grande da poter contenere tutto il paesaggio di cui i suoi occhi sono affamati?
Non lo sa, ma non si lascia scoraggiare dai limiti imposti dal legno e dalla pietra. Abbatte la finestra con l'immaginazione e segue Lei per la città.
Cerca il suo riflesso sulle pozzanghere piene di foglie rosse e gialle. Sa che prima o poi la ritroverà, è una questione di spazio.
Si affretta a lasciare una traccia di sè per le strade, con istantanee degli stessi dettagli che era stata Lei a fargli notare. Entra nei locali senza prestare attenzione ai volti che lo circondano. Ordina un caffè, poi un bicchiere d'acqua; lascia fredde monete sul bancone, un'isntantanea e fa suo quel sapore amarognolo di temporaneo insuccesso.
Si accorge della pioggia sorprendendo delle goccioline sulle scarpe nere, come i capelli di Lei.
Da qualche parte dovrà pur essere: dentro qualche vestito, qualche scarpa, fuori da qualche pensiero. Illuminata da una particolare lampadina (chissà di che marca), di fronte a qualcuno o a qualcosa.
Non capisce. È tutto pronto da un pezzo: le sue certezze, la sua poltrona, la sua metà dell'armadio, lo spazzolino da denti, il cuore di Lui. Allora dove si è cacciata?
Forse è rimasta coinvolta in un incidente di percorso. Magari si è persa nei suoi pensieri e sta aspettando di ritrovare il filo.
In ogni caso si è fatto tardi. Bisogna rincasare, preparare la cena e guardare la tv.

giovedì 1 novembre 2012

Ficus magnolioide

E improvvisamente sentì pruderle ogni cosa. Una sorta di fastidio per tutto ciò che le ricopriva il corpo. Si tolse gli occhiali, lanciandoli sul tavolo. Come a lavarsi il volto, strofinò le mani sulla pelle. Emise un pesante sospiro e cercò di cacciarvi dentro tutto quello che voleva ignorare di quel giorno.
Ma i suoi problemi erano intatti, protetti dalla loro intangibilità.
La lettera giaceva adesso sotto il peso dei grandi occhiali in osso, continuando a ripeterle quelle frasi nella mente. Erano macchie nere su un foglio bianco, ma avevano avuto il potere di determinare il suo futuro.
Per quello che ci è dato sapere, si trattava di una richiesta che lei non sarebbe stata in grado di accontentare e da questa incapacità sarebbero cambiate molte cose.
Ci voleva aria. Prese la giacca, ma la lasciò ricadere sulla poltrona. Ritornò sui suoi passi e rientrò in cucina. Usò la lettera per risparmiare al marmo ulteriori macchie di caffè e attese che quest'ultimo fosse pronto preparando con lentezza tazzina e piattino.
Si recò alla finestra e fissò insofferente i passanti, gli alberi, le foglie gialle al vento... il caffè!
Ciondolò verso il fornello e spense il fuoco. Mescolò il liquido e ne versò metà nella tazzina. Guardò le sue mani durante tutto il processo. Afferrò il piattino e si diresse verso il pianerottolo.
Si accertò di avere preso le chiavi e uscì dal palazzo. In cinque minuti arrivò al parco e scelse la sua panchina preferita: quella davanti al ficus magnolioide.
Portò la tazzina alle labbra, ma poco prima di bere si accorse del signore che la stava fissando.
Decisa a non permettere a niente di distrarla dai suoi pensieri, si risolse a ignorarlo. Ma questi si alzò dalla panchina e le si avvicinò con fare deciso.
Preparandosi a dover rendere conto della sua decisione spostò la tazzina, ma il signore non le rivolse la parola. Le si sedette accanto e aprì il suo libro, tuffandosi nella lettura.
Le labbra sfiorarono la tazzina e la voce dell'uomo si levò nell'aria, dolce e confortante: “e fu allora che la signora Sharp decise di rincarare la dose, obbligando Murley a fornirle un resoconto più dettagliato della serata...”.
Gli occhi scorrevano sulla pagina, dettando la storia alla donna che, sorridente, prese a sorseggiare il caffè.