mercoledì 29 novembre 2023

Museum pass

Non sono mai stata brava con la fine di un'era.
Da piccola, ricordo che guardavo i miei genitori e cercavo di assaporare ogni loro gesto per il giorno in cui mi sarebbero mancati. E, visto come sono andate le cose, ho fatto davvero bene! Good call!
Quando mi ritrovavo in situazioni piacevoli, cercavo di scattare fotografie mentali, perché volevo ricordare le mie sensazioni, gli odori e i sapori.
Molto spesso, cercavo di ascoltare della musica, per legare quelle emozioni alla melodia. Anche questo funzionava. Quando ero più grande aspettavo che ci fosse un'occasione che sapevo essere speciale prima di indossare un nuovo profumo, così da spruzzarlo anche su quel ricordo.
Quando un'era della mia vita finisce, vengo straziata da una sensazione di malinconia quasi soffocante, e mi ritrovo a guardarmi alle spalle più spesso di quanto si addica a una persona che sta vivendo adesso il suo presente di giovinezza.
Ci sono poi quei momenti in cui credo che qualcosa farà parte della mia vita per sempre, ma la vita decide che non sarà così, e mi ritrovo seduta tra oggetti impolverati, totalmente incapace di venirne a capo, come la curatrice/avventrice fallita di un museo che non visita nessun altro.
Quando, nella nuova era in cui mi ritrovo volente o nolente, qualcosa va davvero male, ecco lacrime roventi che scavano il viso, cercando il cammino verso quello che avevo, le persone che mi circondavano e che, mi convinco, avrebbero avuto la parola giusta per me. Ma mi basterebbe anche poterne rivedere il volto… il sorriso sarebbe il massimo! Non parliamo poi di un abbraccio e di quelle parole di circostanza che però, pronunciate dalla voce che ami, diventano panacea.
Come si torna indietro? Come si tesse una trama dalla bellezza che abbiamo avuto? Come si indossa una corazza?
Cosa sono questi dolorosi ricordi che tornano a infestare la nostra mente? E poi dicono che i fantasmi non esistono.
Perché parlo così?! Semplice: la scelta sfortunata di indossare un vecchio profumo, che non mettevo da molto tempo, in una giornata davvero brutta, fatta di litigi e lacrime. Ed ecco che, mentre accanto a te qualcuno si sfoga e stride di tutto il suo disappunto, tu singhiozzi e vorresti tanto non essere dove sei, ma tornare al giorno in cui avevi scattato una foto mentale inebriata del tuo profumo, sorridente e soddisfatta di quella istantanea venuta davvero bene.
Ecco che, davanti a te, in quel museo impolverato, si sofferma un nuovo avventore che ti impedisce di godere dell'opera. Allora non ti resta che portare il polso al naso, chiudere gli occhi e inspirare profondamente, sperando di ritrovare quella meravigliosa istantanea. 

domenica 16 ottobre 2022

Il minivan bianco che è la mia testa


La percezione che ho della mia vita è quella del gioco della sedia musicale.
Tutti conoscono la sedia da puntare e si lanciano agguerriti. Io mi godo la musica e mi ricordo di dover lottare per il mio posto quando gli altri si stanno già muovendo e io rimango a bocca asciutta… e a natica sprovvista di sedia.
È così da quando ho memoria.
A otto anni facevo ginnastica ritmica. Ricordo vagamente le prove fino al giorno del saggio, che mi colpì come il petardo che spaventa la signora al mercato di Bari. 
Tutte sapevano cosa fare, tranne me, che le seguivo arrancando e furiosa col fatto che tutte sembrassero nel loro elemento, tranne me, che di quel giorno ho regalato ai posteri mille foto del mio profilo destro e sinistro, mentre osservo disperata le altre.
Così sempre. Così anche adesso che il body blu non so nemmeno dove sia finito, ma che lo spaesamento di quel giorno ce l'ho ancora addosso.
I passi del saggio si sono trasformati in bandi, scadenze, opportunità di reinventarmi. Di soprassalto mi ricordo che è da un po' che non controllo gli avvisi per quel bando che mi interessa? Bene, gli esami preliminari sono già stati fatti e c'è la lista degli idonei. Caselle di una tabella word formato 12, comodamente occupate da menti leste e gambe allenate.
OK, riaccendo la musica, scelgo quale canzone possa esprimere i miei sentimenti e decido che tutto ciò vuole soltanto dire che l'universo ha in serbo per me un altro mondo, un'altra strada.
Dico solo che ogni tanto sarebbe bello vedere un cartello stradale, invece di viaggiare bendata in un minivan bianco senza targa... che sono sempre io a guidare.


domenica 19 dicembre 2021

Patchwork

Ogni tanto ritorno su questo blog a spostare qualche ragnatela e a rileggere le mie parole.

Molto spesso contemplo l'idea di cancellare la pagina, distruggere tutto; accartocciare questi sporadici anni di vaneggiamenti, di ambizioni mal coltivate.

La stanza dentro cui lo faccio è a sua volta polverosa, piena di oggetti che sono appartenuti alle persone del mio passato, e che a forza cercano di farsi spazio nel mio presente.

Eppure c'è una parte di me che non solo non riesce a cancellare questa pagina, ma che bensì vuole riversarvi tutta sé stessa, visto che sarà caduta fuori dai vostri radar e mi concede un certo livello di indipendenza e onestà. 

Unico problema: il "tutto" ha sempre rappresentato per me un multiverso di potenziali vite che non so bene come imbrigliare.

Ho come indizi di idee, concetti, pezzetti di identità che non so bene dove mettere. Tutto però mi riporta al "nero su bianco".

Mi viene in mente Chlorine, una canzone dei Twenty One Pilots, in cui si chiede se sia possibile costruire una casa con dei pezzi... solo pezzi. Si può?




giovedì 16 luglio 2015

Tutti giù per terra!

Maledette parole e maledetto intelletto che le rende scivolose e facili alla sfuggita.
Maledette orecchie, che le captano e le trasformano in pugnalate elettriche a quel maledetto cervello, il quale le registra e le conficca nella memoria.

Il sangue ribolle e tutto sembra una presa in giro, quel girotondo che non ho mai amato da bambina, proprio perché sembrava una presa per quel culo che sbatteva sul cemento sporco di gesso. I giochi dei piccoli.

Eccoci, tutti qui a prenderci per mano e a stringerle, stritolarle, sadicamente soddisfatti del dolore infertoci.
Io non ti mollo, e insieme dobbiamo continuare in questo fottuto girotondo di bugie, menzogne e cattiverie. Quella cattiveria banale di cui siamo tutti capaci, anche se ci fa schifo ammetterlo. Quella cattiveria che riversiamo su un povero insetto che, al nostro cospetto, deve pagare l'impudenza di starci innanzi.

Inizio ad avere la nausea, visto che il girotondo non si placa e inizia, centrifugo, a rifiutare i suoi elementi. Eppure tu mi stringi ancora la mano e continui a vomitarmi addosso il tuo giocoso rancore per la vita e per tutto quello che doveva essere e che non è stato.
Ti fai beffa della mia fiducia e intrecci crudeltà fra i miei capelli, sperando così che io faccia un tonfo ancor più eclatante quando tu griderai "tutti giù per terra!".

Io non gioco più.

giovedì 18 giugno 2015

La soffitta delle meraviglie

  Di buona mattina, tirò su le palpebre per lasciare entrare il sole e si portò pigramente in cucina. Mise la caffettiera sul fuoco e cercò quel libro che narrava delle avventure di una bimbetta inglese che seguiva conigli in panciotto giù per tunnel infiniti.
  Il borbottio della caffettiera interruppe un noioso paragrafo sui regnanti inglesi e B. abbandonò il libro a faccia in giù sul tavolo, versò il caffè e, nell'attesa che raggiungesse una temperatura accettabile, decise che avrebbe fatto un salto in soffitta.
  Luogo mitologico in cui molti oggetti della sua infanzia avevano intrapreso viaggi ben più meravigliosi di quelli narrati dal libro, la soffitta era la meta meno preferita della casa, ma B. si sentiva avventurosa, dunque si armò di coraggio (e di un panno cattura polvere) e si avviò.
  Pentolame dell'era borbonica, vecchie caffettiere e delle scatole che B. non riconobbe. Decise allora d'indagare. Prese la prima. Era aperta. Vi guardò dentro.
  «Andrò a vivere a Roma!»
  «Mi manterrò facendo la cameriera!»
Non era possibile!
  «Domani mi metto a dieta»
Le girava la testa...
  «Adesso prendo lo zaino e mi giro il mondo da sola!!»

  Come una patologa, B. iniziò a ricucire tutte quelle frasi, tutte quelle promesse di cui ricordava la data di formulazione. Il caffè, al piano di sotto, ormai era freddo da tempo.
Ma B. non riusciva a fermarsi. Le scatole sembravano non avere fondo...
  Dopo ore di "domani", "poi ci penso", "magari dopo", "un giorno, forse", la sua mano aveva agguantato l'ultimo pezzetto. Allora si allontanò di qualche passo ed eccoli lì: i corpi esanimi di tutte quelle Alice che si erano lasciate mettere nella scatola del "domani", credendo alla regina di cuori B, la quale aveva promesso loro che le avrebbe portate in un paese meraviglioso.
  Ma non oggi, Alice cara, magari ci pensiamo domani.

  

mercoledì 3 dicembre 2014

B. gone

La perdita è grande maestra.
L'errore è grande maestro.
Il tempo è grande maestro, oltre che gentiluomo.
Quando sarai grande capirai...
Capirai questo:

La perdita ti fa capire quanto importante fosse qualcosa che non tornerà più. E ti renderai conto che più che poter usare questo graaaaaande insegnamento, sarai condannato a una vita di rimorsi e rimpianti, visto che non serve a niente accrescere il valore di qualcosa che non è più tuo, se non per fartene bramare l'impossibile ritorno.

La vita ti insegna che devi pensarci prima, che devi mettere in conto molte varianti, cosicché, quando essa stessa deciderà di mandare tutto a puttane, tu almeno avrai la consolazione di averci pensato prima e di aver preparato le sterpaglie per il fuoco. Guarda tutti i tuoi progetti che vanno in fumo e sentiti grato che almeno ci avevi pensato prima.

Il tempo è gentiluomo... sedicente: uno di quelli che ti illude di essere l'unica donna della sua vita, fino a quando non lo vedi a braccetto con ragazze che hanno la metà dei tuoi anni e il doppio delle tue possibilità. Grazie tempo! Io mi tengo il gatto.

Quando sarai grande capirai che non potrai tornare indietro a cambiare le cose che non hai capito prima, così ti ritroverai a vomitare la stessa banalità su due orecchie innocenti e totalmente indifferenti all'avvertimento che cerchi di dare loro. Evviva!

Tutte queste lezioni, tutta questa conoscenza dove le metto? Tutto questo accumulare esperienza, a cosa serve realmente?
Le condizioni che hanno portato all'errore dovrebbero ripresentarsi nello stesso esatto ordine affinché io possa estrarre dal cilindro delle illusioni la mia esperienza e farmene scudo costruttivo.

La verità, amici cari, è che poche cose hanno un senso, perché nessuno di noi sa dove sta andando.


mercoledì 17 settembre 2014

L'insostenibile pesantezza dell'essere altro da noi

Scoprirsi, dunque togliere ciò che ci copre. La pelle ci ricopre. Scoprirsi è come scorticarsi la pelle e iniziare a tirare via strati di preconcetti; tossiche etichette; anni di imposizioni esterne e semplice (agghiacciante) apatia.
Scoprirsi sembra quasi una pratica macabra. Una cosciente decisione di sviscerare sé stessi, venire al mondo con un parto pieno di sangue, lacrime, rabbia e paura.
Nessuno a tenerci la mano mentre spingiamo fuori la stessa creatura che abbiamo seminato con violenza dentro noi stessi, senza chiederci il permesso.

Eppure devo prendere fiato. Devo sapere dov'è finita quella B. che teneva la mano ai suoi demoni e li accompagnava al cancello per poi tornare a giocare coi suoi cuginetti. La stessa B. che guardava il mondo con freddo calore, senza lasciarsi scottare o congelare. A cui venivano cantate le canzoncine di scherno, rimandate indietro con spallucce e sorrisi sinceramente indifferenti. Così forte da far paura...

Quand'è che ho iniziato ad ascoltare? A lasciare entrare il dolore? A vedere la mia forza come debolezza? Non so quando ho deciso di indossare la B. che gli altri mi hanno cucito addosso. Neppure capisco come si sia strappato l'orlo e come, piano piano, dolorosamente, stia rinascendo la povera creatura che ho portato in grembo. Che ho lasciato seppellire dentro le mie viscere. Quella che invece doveva essere la mia pelle, respirare con me e sentire il calore del sole.

Fortunatamente il corpo sa come fare e la mente deve solo spingere, tra dolorose contrazioni di paura.

Ma anche questa volta le tenderò la mano e l'accompagnerò al cancello.