giovedì 16 luglio 2015

Tutti giù per terra!

Maledette parole e maledetto intelletto che le rende scivolose e facili alla sfuggita.
Maledette orecchie, che le captano e le trasformano in pugnalate elettriche a quel maledetto cervello, il quale le registra e le conficca nella memoria.

Il sangue ribolle e tutto sembra una presa in giro, quel girotondo che non ho mai amato da bambina, proprio perché sembrava una presa per quel culo che sbatteva sul cemento sporco di gesso. I giochi dei piccoli.

Eccoci, tutti qui a prenderci per mano e a stringerle, stritolarle, sadicamente soddisfatti del dolore infertoci.
Io non ti mollo, e insieme dobbiamo continuare in questo fottuto girotondo di bugie, menzogne e cattiverie. Quella cattiveria banale di cui siamo tutti capaci, anche se ci fa schifo ammetterlo. Quella cattiveria che riversiamo su un povero insetto che, al nostro cospetto, deve pagare l'impudenza di starci innanzi.

Inizio ad avere la nausea, visto che il girotondo non si placa e inizia, centrifugo, a rifiutare i suoi elementi. Eppure tu mi stringi ancora la mano e continui a vomitarmi addosso il tuo giocoso rancore per la vita e per tutto quello che doveva essere e che non è stato.
Ti fai beffa della mia fiducia e intrecci crudeltà fra i miei capelli, sperando così che io faccia un tonfo ancor più eclatante quando tu griderai "tutti giù per terra!".

Io non gioco più.

giovedì 18 giugno 2015

La soffitta delle meraviglie

  Di buona mattina, tirò su le palpebre per lasciare entrare il sole e si portò pigramente in cucina. Mise la caffettiera sul fuoco e cercò quel libro che narrava delle avventure di una bimbetta inglese che seguiva conigli in panciotto giù per tunnel infiniti.
  Il borbottio della caffettiera interruppe un noioso paragrafo sui regnanti inglesi e B. abbandonò il libro a faccia in giù sul tavolo, versò il caffè e, nell'attesa che raggiungesse una temperatura accettabile, decise che avrebbe fatto un salto in soffitta.
  Luogo mitologico in cui molti oggetti della sua infanzia avevano intrapreso viaggi ben più meravigliosi di quelli narrati dal libro, la soffitta era la meta meno preferita della casa, ma B. si sentiva avventurosa, dunque si armò di coraggio (e di un panno cattura polvere) e si avviò.
  Pentolame dell'era borbonica, vecchie caffettiere e delle scatole che B. non riconobbe. Decise allora d'indagare. Prese la prima. Era aperta. Vi guardò dentro.
  «Andrò a vivere a Roma!»
  «Mi manterrò facendo la cameriera!»
Non era possibile!
  «Domani mi metto a dieta»
Le girava la testa...
  «Adesso prendo lo zaino e mi giro il mondo da sola!!»

  Come una patologa, B. iniziò a ricucire tutte quelle frasi, tutte quelle promesse di cui ricordava la data di formulazione. Il caffè, al piano di sotto, ormai era freddo da tempo.
Ma B. non riusciva a fermarsi. Le scatole sembravano non avere fondo...
  Dopo ore di "domani", "poi ci penso", "magari dopo", "un giorno, forse", la sua mano aveva agguantato l'ultimo pezzetto. Allora si allontanò di qualche passo ed eccoli lì: i corpi esanimi di tutte quelle Alice che si erano lasciate mettere nella scatola del "domani", credendo alla regina di cuori B, la quale aveva promesso loro che le avrebbe portate in un paese meraviglioso.
  Ma non oggi, Alice cara, magari ci pensiamo domani.